Il Natale senza poveri
Circolari ministeriali a difesa del decoro dei centri urbani, ordinanze di sindaci che spostano il degrado in periferia, solerti pulizie mattutine di portici e piazze con getti d'acqua su marciapiedi e sottopassi, scomparsa di panchine pubbliche e chiusura di sale d'aspetto nelle stazioni, iniziative di privati cittadini che impediscono a senzatetto di trovare ricovero in un garage regolarmente affittato, multe e denunce a volontari che distribuiscono cibo e bevande a mendicanti, colonne di migranti in cammino scalzi in mezzo alla neve... Non è una bella vigilia di Natale quella che stiamo vivendo. In verità è da mesi che assistiamo a episodi di questo tipo, con l'unica differenza che il gelo ha preso il posto del caldo torrido.
Certo, siamo consapevoli delle esigenze di ordine pubblico, dell'esistenza di racket anche per la mendicità, di sfruttamento od opportunismi da parte di numerosi soggetti, del diritto alla tranquillità - che è realtà più ampia della sicurezza - nella vita dei cittadini, a partire dai più indifesi. Tuttavia è difficile rimuovere l'impressione che, invece di una lodevole, faticosa lotta contro la povertà, sia in atto una più agevole guerra contro i poveri, che si avvale di due strumenti micidiali: la rimozione fisica del povero e la guerra tra poveri.
È incitamento alla guerra tra poveri il far passare l'idea che i disagi patiti in questi anni da una larga fetta della popolazione, l'aumento del numero delle famiglie indigenti o sotto la soglia della povertà assoluta, il deteriorarsi della qualità della vita siano da attribuirsi all'estensione dei diritti essenziali a quanti prima ne erano esclusi - a cominciare dagli stranieri - e non dallo sgretolarsi del patto sociale tra cittadini, dalla diminuzione delle risorse destinate all'assistenza pubblica, dalle difficoltà del mondo del lavoro in balia della non-legge del mercato globalizzato. Così si contrappone un ceto medio-basso impoverito agli ultimi arrivati, che siano immigrati o giovani o entrambe le cose poco importa.
Ma, più della acre guerra tra poveri, è preoccupante la volontà sempre più esplicita di rimuovere il povero dalla nostra vista: "occhio non vede, cuore non duole". Forse i nostri occhi e i nostri cuori sono salvaguardati da una prassi fatta di "aiutiamoli a casa loro", "sosteniamoli a distanza", "vadano altrove a cercare aiuto", "non possiamo assistere tutti", "prima noi poi, se mai, qualcuno di loro"... Ma gli occhi dei poveri vedono e i loro cuori dolgono: i loro occhi vedono che la dignità che dovrebbe accomunare ogni essere umano è calpestata, vedono che il nostro sguardo si volta dall'altra parte, vedono privilegi scandalosi che generano abusi intollerabili. E i cuori dei poveri soffrono perché l'affronto fatto a uno solo dei più piccoli è fatto all'umanità intera, una sola vita ferita, un solo bambino abbandonato o sfruttato, una sola donna calpestata è negazione di ciò che rende tale ogni essere umano.
Non ci interessa più debellare la povertà, ci basta solo non vedere più i poveri, perché la loro semplice vista è un atto di accusa per noi, per come gestiamo le risorse comuni, per come condividiamo diritti e doveri, per come pensiamo alla società e al pianeta che consegneremo alle generazioni future. "Terra, casa e lavoro" non li consideriamo più diritti universali, come ci chiede la Costituzione, prima ancora di papa Francesco: sono diventati stabili privilegi di chi già li possiede, vuole accrescerli per sé e li difende contro tutto e tutti.
Enzo Bianchi
Commenti (0)